
Di Gino M.D. Arnone – Avvocato – e Jacopo Giunta – Avvocato, Socio IISFA, Clusit, BFA, CIFI, Tech and Law Center.
IL Bitcoin (BTC) è la prima valuta digitale al mondo, una cd criptovaluta, svincolata quindi dalle banche centrali e negoziata in tutto il pianeta. Si tratta di uno strumento sempre più promosso tra i trader valutari, per lo più in seguito alla ampia volatilità e rischosità del mercato, posto che i margini di guadagno (maggiori rispetto alle valute reali) consentono ampie forbici di rendimento. Sono quindi uno strumento finanziario costituito da una moneta che può essere creata da qualunque utente e che può essere impiegata per operare scambi commericiali attraverso un software open source e ad una rete peer to peer.
Con la sentenza qui commentata si stabilische come l’operazione di cambio di valuta tradizionale verso unità della valuta bitcoin (idem per il processo inverso) effettuate a dietro il pagamento di somme corrispondenti al margine costituito dalla differenza tra prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita operato dal seller ai propri clienti buyer è qualificabile come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori.
Detta qualificazione giuridica della fattispecie – che conferma le poche ma esistenti pronuncie delle Autorità Fiscali Italiane (Ag. Entrate) e in senso più ampio quelle della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – ha importanti riflessi sulla disciplina giurdica da atottare in caso di controversie.
Nel caso di specie (Trib Verona, 24 gennaio 2017 n. 195) la B.D.I srl, quale utente-bitcoin di U. e quale sostanziale promotore finanziario di costei ( giusta l’insistita autodefinizione quale “financial partner” della menzionata società di diritto ucraino:) aveva infatti ceduto agli attori, a fini di profitto d’impresa, la relativa moneta virtuale (non importa se già propria o se procurata ad hoc, in forza di intermediazione) in cambio di valuta reale.
Come accennato poco sopra, di tal genere di operazioni si è occupata di recente l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/E, prendendo le mosse dalla nota sentenza 22.10.2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( Causa C-264/14).
Per quanto qui interessa, tanto la CGCE quanto l’Agenzia delle Entrate italiana definiscono le operazioni in questione ( ciò è a dire “cambio di valuta tradizionale contro unità della
valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti”) come “prestazioni di servizio a titolo oneroso” ( sub specie di “intermediazioni nell’acquisto e vendita di bitcoin“), che – in quanto “…relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” – sono riconducibili all’art.135, paragrafo I, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, onde poi trarne l’inclusione nelle prestazioni esenti ex art. 10, comma primo, n.3), dpr n.633/1972 (non assoggettabilità ad IVA e, per converso, assoggettabilità ad IRES ed IRAP dei margini di profitto generati).
Ebbene nel caso deciso dal Tribunale di Verona, alla luce di quanto sopra, trova conferma l’evidente natura contrattuale delle operazioni in esame, qualificabili – sul versante della B.D.I. SRL – come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori.
In effetti, le risultanze istruttorie consentivano di affermare che B.D.I. srl ssunse il ruolo di “fornitore” del servizio finanziario descritto all’art. 67 ter, lett.a), b), c) e g): essa, invero, operò quale soggetto privato che – mediante “contratto a distanza” ex art. 50 cod. consumo e servendosi di “operatore o fornitore di tecnica di comunicazione a distanza” ( qui il gestore del portale U.) – ebbe a collocare i “bitcoin” di che trattasi, senza mai incontrare personalmente gli odierni attori ( come ha lealmente dichiarato il legale rappresentante di costei), svolgendo siffattamente quel “servizio finanziario ai consumatori” ex art. 67 bis L. cit., con accordo per fatti concludenti comprovato, ex parte actoris, dai bonifici bancari eseguiti da costoro sul c/c della società, bonifici ai quali fece seguito l’accredito, in favore dei primi, di unità di criptomoneta U. (la c.d. virtual value : “V.V.” ), in pari misura, sul portale ucraino (e dunque, ancora un volta, con le modalità degli artt. 50 e 67 ter, l. cit.).
La premessa ricostruttiva che precede consente, ora, di affrontare con maggiore precisione il tema della mancata informazione, agitato in via risarcitoria dagli attori, per verificarne la riconducibilità al perimetro tracciato dagli artt. 67 quater, quinquies, sexies, septies, undecies della L. cit., come integrato in via regolamentare (ex art. 67 decies) dal Titolo III dell’Allegato 1 della delibera Consob n. 18592 del 26.6.2013 (Regole di condotta: artt.13-21).
Escluso il diritto di recesso giusta la previsione dell’art.67 duodecies, comma quinto, la disciplina prevede, in estrema sintesi, che il consumatore abbia diritto: di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui B.D.I. srl); di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, “ subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le informazioni ai sensi del comma 1”): circa l’”identità”, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante; l’identità del professionista ( qui B.D.I. srl) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore; l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale U.per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte; le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli; il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato; il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riguardo ai risultati futuri, oltre che sull’”esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione degli eventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione“ ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE); i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento; lo “Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”. Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.1 dell’All.3, ibid), giacchè volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
Non si dubita, ovviamente, che gli obblighi regolamentari in questione abbiano per destinatario ”naturale” il c.d. gestore di portale (nel caso, U.) e, tuttavia, una volta accertata la simmetrica sussistenza di specifici doveri informativi gravanti anche sul “fornitore” dello strumento finanziario (qui la cripto-moneta finalizzata, per l’appunto, agli investimenti in partecipazioni offerte sul portale U.), pare ragionevole definirne il contenuto, i contorni concreti (specie, come nel caso, laddove non assolti ovvero assolti lacunosamente dal gestore) mediante la loro trasposizione in capo al “fornitore”, in esito ad un’operazione ricostruttiva volta ad evitare, in via esegetica, lacune nell’ordinamento di settore.
Tracciato in tal modo il perimetro soggettivo ed oggettivo degli obblighi informativi in parola, la legge – con l’art. 67 septiesdecies – ne assicura altresì l’effettività, facendo discendere dalla violazione degli “obblighi di informativa precontrattuale” idonea ad alterare “in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche” dell’investimento: la nullità del contratto, con diritto potestativo di azione riservato al consumatore, secondo lo schema consueto delle c.d. nullità relative; l’“obbligo alla restituzione di quanto ricevuto” a carico del fornitore.
Ciò detto, non è chi non veda come, nella fattispecie, il problema della alterazione significativa della rappresentazione delle operazioni di investimento sub iudice si ponga in termini assoluti, essendo mancato qualsivoglia contatto, sia diretto che indiretto, tra le parti, per l’effetto di privare in radice gli attori di qualsivoglia flusso informativo in loro favore, nel rispetto dei principi guida tracciati dal legislatore. Inevitabile, quindi, la nullità dei contratti stipulati per fatti concludenti con gli odierni attori e, a cascata ex art. 2033 c.civ., la condanna della banca (come anche della società intermediaria e più in generale del seller della Cripotvaluta) alla “restituzione di quanto ricevuto”.
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