
Di Massimiliano Gabrielli e Gino M.D. Arnone – Avvocati.
Pubblicate le motivazioni delle sentenza relativa al disastro Costa Concordia in cui con troppa fretta sono state respinte le richieste delle parti civili dirette ad ottenere una condanna che andasse oltre gli attuali limiti risarcitori vigenti in Italia, condanna che invece è stata in tal senso ottenuta recentemente per l’altro disastro italiano relativo al crollo del liceo Darwin di Rivoli.
Il Tribunale di Grosseto, per quanto qui di interesse, pur limitandosi a liquidare delle provvisionali, ha respinto la richiesta dei legali per un risarcimento ulteriore rispetto a quello necessario per compensare il danno subito e che pure avrebbe potuto essere concesso, de iure condendo, in considerazione della gravità della condotta del Comandante Schettino e dello stesso responsabile civile Costa Concordia.
La domanda delle parti civili, attentamente calibrata e bilanciata, priva di argomenti esotici era stata argomentata rendendo compatibile l’istituto americano con gli elementi caratteristici dell’ordinamento giuridico nazionale (il danno punitivo era richiamato solo sullo sfondo di un’ architettura giuridica molto più complessa, che ribadiamo è stata riconosciuta dal Tribunale di Torino proprio con l’applicazione del multiplo che era stato richiesto anche nel caso Concordia).
In particolare erano stati evidenziati e valorizzati tutti gli elementi del diritto vivente (legale, giurisprudenziale, dottrinale) che avrebbero legittimato la condanna ultra-compensativa.
Non di meno il giudice ha ritenuto di dover liquidare il danno senza tenere così in considerazione l’unicità e la infernale gravità della fattispecie.
L’impressione e che ci sia nuovamente voluti trincerare dietro a quella finzione giuridica che ritiene la nostra responsabilità civile cristallizzata su funzioni meramente riparatorie. Se così fosse si tratterebbe di una pronuncia, a nostro sommesso avviso arida e comunque non rispondente ai meccanismi funzionali della responsabilità civile attuale.
Una sentenza quindi che, sebbene salomonica, non appare coraggiosa, che, come previsto sin dalla lettura del dispositivo e si è puntualmente capito oggi col deposito delle motivazioni, non lascerà certo il segno nella storia giuridica di questo paese, se non nella prevedibile revisione e nell’innalzamento della barra delle responsabilità e dei risarcimenti che siamo certi di poter ottenere in appello, e soprattutto in sede civile.
Gli stessi Giudici grossetani intravedono margini, eppure non si spingono oltre al minimo loro richiesto, applicano la livella e, da moderni Ponzio Pilato, pur aprendo in più punti alle possibilità di accoglimento di talune richieste risarcitorie delle parti civili, comprese quelle sul danno punitivo, a loro dire non concedibile in questa sede, rimandano ad altre autorità, non escludendo che ciò possa avvenire in sede civile, dove peraltro recenti pronunce del Tribunale di Torino hanno riconosciuto apertamente il criterio moltiplicatorio del risarcimento legato alla responsabilità aggravata dalla condotta dei responsabili di un disastro.
Insomma, condannano Schettino, liquidano un danno decoroso ma non esemplare e si lavano le mani dalla responsabilità di fare Giustizia vera, concreta, memorabile.
A voi la lettura in anteprima della sentenza, e lasciamo spazio e tempo per i commenti su tante pagine, certamente soggette a controverse interpretazioni.
Insomma, come già affermato, la sentenza non è – e non sarà certo per noi – il punto di arrivo, ma bensì la base di partenza per arrivare al riconoscimento di un più ampio diritto di risarcimento delle parti civili, all’accertamento della verità senza riguardo a chi poi ne debba rispondere, all’innalzamento della prevenzione a mare ed all’allargamento delle responsabilità verso i vertici societari. Perché non ci sia mai più una altra Concordia con un solo responsabile.
Dopo una lunga attesa, il 13 del mese corrente i giudici del processo penale celebratosi a Grosseto hanno finalmente pubblicato le motivazioni della loro sentenza enunciata nel “caso Costa Concordia”. Nelle oltre 500 pagine del documento depositato i giudici confermano il carattere criminale di vari azioni del capitano, tra cui l’azzardato avvicinamento della nave all’isola del Giglio, le sue false o incomplete informazioni che hanno poi contribuito a ritardare l’evacuazione della nave nonché, in fine, l’abbandono della nave con dei passeggeri ancora a bordo.
Mentre il verdetto (16 anni più un mese di galera per Schettino, il quale si trova ancora in libertà in attesa del annunciato appello) può essere definito troppo timido ma, infine, accettabile, la vera pecca sta a monte del processo con l’incomprensibile patteggiamento per i manager della compagnia, responsabili per aver affidato la vita di oltre 4000 persone ad un capitano scellerato, per avergli dato in mano una nave con sistemi tecnologici non funzionanti (radar), sottodimensionati (DGE) o frettolosamente certificati idonei alla navigazione (porte stagne).
Non da dimenticare che non é stato Schettino ma i manager dell’armatore ad equipaggiare la Concordia con del personale non in grado di comunicare tra di loro, a definire (ed osservare) le competenze dei membri dell’equipaggio riguardanti la gestione di emergenze, mentre non ritenevano necessario di fornire a tutti i passeggeri (nonostante alcuni erano a bordo da ormai 5 giorni!) le istruzioni sul come comportarsi durante un’eventuale evacuazione e dove trovare giubbotti di salvataggio per adulti e minori.
Cosi, mettendo nel bilancio le scelte irresponsabili e le azioni indifendibili del capitano da una e le gravissime omissioni e negligenze da parte dell’armatore dall’altra parte, il capitano appare quasi come il facile capro espiatorio messo a disposizione del tribunale da parte del datore di lavoro Costa Crociere.
Certo tale sentenza dei giudici grossetani non è adatta a ricuperare la fortemente compromessa reputazione dell’universo marittimo italiano, armatori, capitanerie e istituti di certificazione navale compresi, né tanto meno potrà ridare lustro alla rovinata immagine di tutta una nazione.
E, infine, infliggendo pene pecuniarie troppo timide e il rifiuto di applicare quacosa simile al danno punitivo non aiutano a costringere le assicurazioni ad alzare i premi e, a loro volta, gli armatori a cambiare rotta e ad investire in sicurezza.
Egr. Collega,
Condivido le Sue perplessità, particolarmente precise anche perché provengono da persona che come lei è oltremodo specializzata.
Stretta cordiale,
Avv. Gino M.D. Arnone
Inserita Egr. Collega.
Grazie molte per l’attenzione e l’interessamento.
Il suo contributo impreziosisce il nostro portale.
Cordiali saluti,
Gino M.D. Arnone