[vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_column_text]Totò sosteneva che “ogni limite ha una pazienza” “ (Toto a colori”, 1952) e a ben vedere quello imposto dalla legge 210/92 sembrerebbe essersi davvero stufato.

L’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 prevede il diritto all’indennizzo per chiunque abbia riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente all’integrità psico-fisica dipendenti da vaccinazioni obbligatorie per legge.

Insomma sembrerebbe un luogo intonato alla tipicità, nel cui ambito di operatività rientrano solamente le vaccinazioni obbligatorie, restando invece escluse quelle definite “raccomandate”, come morbillo, parotite e rosolia.

Con la recente Sentenza 107 del 26 aprile 2012, la Corte Costituzionale ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, proprio nella parte in cui pone l’anzidetta limitazione.

A portare la questione di fronte alla Corte Costituzionale è stato il Tribunale di Ancona rispetto al ricorso per ottenere l’indennizzo proposto dai genitori di una bambina rimasta irreversibilmente danneggiata a seguito della vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia (MPR) che, “ancorché non obbligatoria e, dunque, non suscettibile di dar luogo, ove generatrice delle complicanze previste dalla normativa denunciata, all’indennizzo ivi previsto si presentava, però, fortemente incentivata dalle pubbliche autorità, avendo essa formato oggetto di una intensa campagna di sensibilizzazione, attestata da numerosi atti emanati a tale riguardo dalla pubblica amministrazione”.

Nel lucido argomentare della Consulta, peraltro già seguito in precedenza, con interpretazione costituzionalmente orientata, da sentenze di merito (recentissimamente, su questa stessa rivista, si veda Tribunale di Rimini, Sez. lavoro, sentenza 88 del 15.3.2012) si possono isolare cinque momenti di particolare rilevanza nel giudizio che ha equiparato le vaccinazioni raccomandate a quelle obbligatorie:

1) il diritto alla salute del singolo ha subito una compressione in nome della solidarietà verso gli altri;

2) la causa dell’evento dannoso è dipendente dalle decisioni adottate in vista di un beneficio di carattere generale;

3) le vaccinazioni non obbligatorie, nella specie contro morbillo-parotite-rosolia, sono state oggetto, per oltre un decennio, di insistite ed ampie campagne, anche straordinarie, di informazione e raccomandazione da parte delle pubbliche autorità sanitarie, nelle loro massime istanze (con distribuzione di materiale informativo specifico sia tra gli operatori sanitari sia presso la popolazione). In questa prospettiva, precisa la Consulta − nella quale è peraltro difficile delimitare con esattezza uno spazio “pubblico” di valutazioni e di deliberazioni (come imputabili a un soggetto collettivo) rispetto a uno “privato” di scelte (come invece imputabili a semplici individui) − i diversi attori finiscono per realizzare un interesse obiettivo − quello della più ampia immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia − indipendentemente da una loro specifica volontà di collaborare. E cioè a dire che resta del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito.

4) in un contesto di irrinunciabile solidarietà, la misura indennitaria appare equilibrata perchè destinata non tanto, come quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un vantaggio collettivo;

5) diversamente opinando sarebbe irragionevole immaginare che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati, proprio perché la scelta adesiva dei singoli, al di là delle loro particolari e specifiche motivazioni, è di per sé votata – per com’è strutturato e propagandato il sistema di prevenzione attuale – alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo (oltre che raccomandata dalle pubbliche autorità, che cosi facendo hanno certamente favorito lo sviluppo di un generale affidamento di quanto raccomandato).

La soluzione rappresenta peraltro il coerente sviluppo della giurisprudenza della Corte Costituzionale, che continua anno dopo anno a togliere limitazioni dal campo applicativo della legge 210/92 rendendola progressivamente più giusta. Un cammino intrapreso con la sentenza n. 27 del 1998 (che riguardava un caso di paralisi associata a vaccino OPV occorso prima che la vaccinazione antipolio diventasse obbligatoria, dove già si trovava affermato che il differente regime riserverebbe a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un illegittimo trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione); cammino poi proseguito con la sentenza n. 423 del 2000, dove parimenti era rilevata l’incostituzionalità dell’ art. 1 della legge nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo anche per i soggetti sottoposti alla vaccinazione antiepatite B appartenenti alle categorie a rischio, successivamente con la sentenza n. 476 del 2002 contenente l’estensione del beneficio ai sanitari con HCV, ed ancora con la sentenza n. 29 del 2009, comportante l’estensione del beneficio ai danneggiati da emoderivati (immunoglobuline), per arrivare alla recente pronunzia n. 293 del 2011 dichiarativa (tramite rilevamento di incostituzionalità del D.L. 78/10) della completa rivalutabilità secondo gli indici ISTA delle somme erogate (come dimenticare che anche l’interpretazione della corte di cassazione ne ha riformato il testo, descrivendo come ordinatori e non perentori i termini previsti per l’impugnazione dei dinieghi in fase amministrativa ex art. 5 comma 3 – sentenza sez. lavoro n. 21807 del 2007, e dichiarando che l’ascrivibilità tabellare delle patologie deve essere fatta non in modo rigoroso ma bensì in via di equivalenza – sentenza a SS.UU. n. 8064 del 2010).

Con l’occasione concludiamo segnalando, tra le tante riforme ancora dovute in ambito di L. 210/92, che è ancora “in attesa” di essere cancellata la discriminazione tra contagiati da HCV (soggetti ad un termine di decadenza di 3 anni) e contagiati da HIV (10 anni).

Testo integrale della sentenza 107 2012
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Indennizzo da vaccino: cade un ulteriore limite

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