di Davide Gatto – Al Salam Boccaccio 98 – Sentenza C641/18 CJUE
“Le vittime del naufragio di una nave battente bandiera panamense possono adire i giudici italiani con un’azione di responsabilità contro gli organismi italiani che hanno classificato e certificato tale nave”. A statuirlo è la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 7 maggio 2020 relativa alla causa C-641/18, la quale ha negato che la prerogativa dell’immunità giurisdizionale degli Stati sovrani (quale consolidato principio di diritto internazionale consuetudinario) possa essere riconosciuta anche in favore di enti di diritto privato, quandanche questi operino su mandato di uno Stato. Ciò, come affermato dalla Corte, “in quanto tali società sono imprese a scopo di lucro che esercitano le loro attività in condizioni di concorrenza e che non dispongono di alcun potere decisionale connesso all’esercizio di prerogative di pubblici poteri” (§50).
La stessa Corte ha infatti precisato che le attività di dette imprese non sono frutto di processi decisionali esercitati in virtù di autonomi pubblici poteri, bensì si tratta di attività che devono necessariamente conformarsi alle previsioni normative internazionali e nazionali e quindi soggette al controllo e alla sovranità dello Stato. Ne consegue che tali società non possano esercitare una qualche forma di sovranità, quale elemento essenziale e presupposto al fine di un riconoscimento della discussa prerogativa dell’immunità.
La questione nasce nell’ambito della causa instaurata dal pool internazionale di avvocati su mandato delle vittime del naufragio della nave Al Salam Boccaccio 98 (al momento dell’affondamento della battente bandiera dello Stato di Panama), contro Ente Rina e Rina S.p.A. quali enti certificatori della nave: la tragedia, verificatasi il 2 febbraio 2006, rappresenta uno dei più gravi eventi della marineria, con oltre 1000 vittime!
Il principio dell’immunità giurisdizionale degli Stati trova la sua origine nella consuetudine consolidatasi al livello internazionale nel corso dei secoli e secondo la quale, in ossequio al principio par in parem non habet iurisdictionem, uno Stato sovrano non può essere sottoposto alla giurisdizione di un altro Stato sovrano. Questo principio deve ritenersi recepito nel nostro ordinamento ai sensi del comma 1° dell’art. 10 della Costituzione che stabilisce che la Repubblica Italiana “si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
È chiaro che si tratta di una prerogativa molto importante e che gioca un ruolo fondamentale nel rapporto tra Stati sovrani, poiché è volta a garantire una parità tra gli Stati, il rispetto dell’assenza di gerarchia tra questi e la pacifica reciproca tolleranza della sovranità degli Stati della comunità internazionale.
Tuttavia tale l’immunità derivante dal consolidato principio consuetudinario, che un tempo era intesa in senso assoluto e che dunque riguardava qualsiasi atto posto in essere da uno Stato sovrano, secondo le teorie che si sono fatte strada in epoca moderna riguarda oggi soltanto gli atti iure imperii dallo Stato straniero, ossia quegli atti compiuti nell’esercizio di una funzione pubblica della sua sovranità; mentre non si estende agli atti iure gestionis, ossia a quegli atti posti essere dallo Stato sia direttamente che per tramite di altri enti come fosse un normale soggetto di diritto privato.
È proprio sulla base di questa distinzione che si fonda quanto statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che nel caso di specie ha affermato il seguente principio: «L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un ricorso per risarcimento danni proposto contro persone giuridiche di diritto privato che esercitano un’attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno Stato terzo rientra nella nozione di «materia civile e commerciale» ai sensi di tale disposizione e, di conseguenza, nell’ambito di applicazione di tale regolamento, qualora tale attività non sia esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare. Il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta all’esercizio, da parte del giudice nazionale adito, della competenza giurisdizionale prevista da detto regolamento in una controversia relativa a un siffatto ricorso, qualora detto giudice constati che tali organismi non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale».
Si tratta di una sentenza di portata storica non solo perché grazie al duro lavoro del pool di avvocati impegnati nella difesa delle vittime del naufragio (evitabile, secondo i sopravvissuti e le famiglie delle vittime) si è ottenuto il riconoscimento della possibilità di poter agire innanzi al giurisdizione italiana con i maggiori benefici che ne derivano in termini di garanzie e tutele applicabili, ma anche a livello socio-economico. Infatti, tale pronuncia sicuramente imporrà alle grandi società, quali enti che sino ad oggi operavano nella forte speranza di una loro immunità giurisdizionale in virtù del mandato conferitogli da uno Stato sovrano, un maggior rispetto di tutte quelle norme volte a garantire la sicurezza di prodotti/attività che proprio tali società hanno il compito di certificare, come hanno sottolineato nella discussione orale anche gli avvocati della CGUE per sostenere le ragioni dei passeggeri/attori contro Rina S.p.A.
È dunque una vittoria anche in termini di analisi economica: la chiara consapevolezza per tali grandi operatori economici di dover poter rispondere dei danni causati dall’erroneo esercizio della propria attività avanti i Tribunali del luogo ove essi hanno sede (nel caso di specie Genova, Londra Parigi, Oslo etc) anziché avanti a quelli di Paesi e continenti lontani legati alla bandiera della nave (ad es. Sierra Leone, Liberia o Panama), non potrà che comportare una maggiore efficienza nell’operato di tali imprese.
Si deve infatti sempre ricordare che l’istituto della responsabilità civile, oltre ad essere un rimedio volto alla riparare i danni subiti dal danneggiato, ha anche il precipuo scopo di disincentivare i comportamenti dannosi, riallocando i costi degli incidenti in capo a chi li ha causati e dando così al tempo stesso giustizia alle vittime che hanno ingiustamente pagato con la loro vita il prezzo degli errori e dell’inefficienza altrui. Pertanto, si auspica che ciò possa servire ad attivare dei migliori e più efficienti meccanismi volti ad adottare tutte le misure di prevenzione idonee ad evitare future tragedie e disastri ambientali.
Il processo ora torna quindi al Tribunale di Genova, mentre sul primo dei contenziosi ASB 98 sarà la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, a pronunciarsi nei prossimi mesi.
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